Crescere in una famiglia vuol dire spesso assorbire una gran quantità di corpi inibitori. Quest’ultimi sono idee, morali coercitive trasmesse con i comportamenti o imposte sin dalla più tenera età e che diventano i nostri gendarmi interiori. Alcuni esempi sono le convinzioni, tante volte espresse igenuamente, come : ” La vita è una battaglia “, ” L’amore non esiste “, ” Il denaro è sporco “, ” L’essere umano è cattivo”, ” Siamo una famiglia di falliti ” etc…
Il Buddha diceva : “Con le nostre idee creiamo il mondo” ed i più piccoli di un Albero, creano il loro piccolo mondo con le “idee”che risuonano nella casa, nei gesti, nelle energie e nei corpi dei genitori. Perchè? Perchè per un bambino la cosa più importante è vivere ed assicurarsi di essere nutrito e protetto; per assicurarsi ciò non ha altra strategia se non quella di essere accettato, integrato e di piacere ai genitori. La non accettazione, il disprezzamento – a livello arcaico – risuonerebbe nella sua coscienza come una condizione di morte. Così, finisce per incorporare i comportamenti e le emozioni del padre e della madre come fossero propri arrivando a patire le stesse sofferenze senza aver avuto la stessa esperienza dolorosa in un fenomeno di totale identificazione. In qualche modo, il bambino si trasforma nei genitori, padri e figli diventano una sorta di gemelli in un fenomeno di narcisismo protettivo. Le difficoltà arrivano quando questa fase non viene superata ed i più piccoli, diventati adulti, non riescono a portare a compimento il processo della propria individuazione; assuefatti al modo di essere ed alle emozioni dei genitori, non trovano posto per le loro istanze interiori, vitali e di crescita e fanno ad oltranza i loro ” specchi ” affinchè possano continuare a riconoscersi.
Da questo gioco arcaico è possibile uscire con nuovi parametri di coscienza. Innanzitutto, prendendo consapevolezza che ammettere le manchevolezze del proprio Albero non vuol dire essere ” ingiusti ” , ” cattivi”, ” non cresciuti “. Quest’analisi lucida della propria storia familiare ha un fine profondamente amorevole. Prende spunto dagli elementi di sofferenza vissuti non per sterile condanna ma al fine di permettere, nel naturale processo alchemico universale retto e governato dagli opposti, la trasmutazione del dolore in gioia, delle ingiustizie in perdono, delle costrizioni in libertà, del conflitto in armonia, della negazione in consapevolezza ri-creativa e gioiosa. Soltanto in questo modo è possibile risvegliarsi ad un atteggiamento di forza e di potere – anzichè di fatalità o vittimismo – nei confronti del proprio destino.